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Produzione dei trucioli

Oggi non si lavorano più i trucioli come attività di mercato e diffusione delle trecce per fare i cappelli di paglia. Ma un tempo era il lavoro di centinaia, migliaia di persone, in prevalenza donne, che – specie nelle lunghe sere d’inverno, quando i lavori dei campi erano fermi – si riunivano nelle stalle, al caldo, per intrecciare metri e metri di treccia da consegnare a chi poi l’avrebbe trasformata in cappelli di varie fogge. E questo durò qui a Villarotta fino a una decina d’anni fa (2002).

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Chi iniziò a produrre i cappelli di legno in Italia, invece che di paglia?

L’idea venne a un carpigiano, Nicolò Biondo (1456-1516), al servizio dei frati di un Convento di Carpi. Prendendo un ramo di salice e liberandolo della scorza, si accorse che procedendo al taglio di lunghe strisce con la roncola, queste si potevano intrecciare come il gambo dei cereali (riso o grano) con i quali di solito venivano fatti i cappelli di paglia in varie parti d’Italia.
La scoperta, o meglio l’invenzione, piacque ai frati, che si interessarono alla produzione di queste sottili strisce di legno, morbide al punto da essere piegate e intrecciate fra di loro. Pensarono così di mettere al lavoro le orfanelle ospitate in convento, che impararono presto a fare la treccia e poi anche a cucirla per farne dei cappelli. Non erano più di paglia, ma di legno eppure erano leggeri come fossero fatti con le paglie: ecco perché li si chiamò seppur impropriamente ‘cappelli di paglia’ questi che erano fatti col legno.

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Da Carpi, alcuni frati si trasferirono a Villarotta, frazione di Luzzara, verso il 1600 dove formarono un nuovo convento di cappuccini. Introdussero anche qui l’attività del truciolo e della treccia per farne cappelli, che tanto sviluppo aveva avuto nel Carpigiano. Misero al lavoro le ragazze ospitate e anche le donne del villaggio, che si misero a disposizione per guadagnare qualche soldino.

Le origini della lavorazione dei trucioli in riva al Po.

Fin dal secolo 1600, a Villarotta si producevano trucioli e trecce, con relativi cappelli, tanto che nel Settecento le mappe del territorio e i documenti vedono la scritta “Villa de’ Cappelli”, a segnalare una delle principali attività di questa località. Anche nella vicina Luzzara, posta in riva al Po, si iniziò nello stesso periodo a lavorare il legno per ricavarne trucioli.

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Il bosco del fiume Po: riserva naturale di salici e pioppi.

Sulle sue rive, il Po ha da sempre avuto boschi e selve di salici, pioppi e altre piante lungo le sue rive, nella golena di espansione. In questi boschi, esperti selezionatori indicavano sui tronchi dei salici con particolari segni quelli idonei alla produzione. Si procedeva successivamente al taglio: da 30 cm alla radice, la pianta era utilizzata fino ai 3 metri del suo tronco. Venivano scartati i rami della chioma, usati come legna di riscaldamento e la parte superiore del tronco perché nodosa e inservibile alla lavorazione.
Si veniva poi con carri a caricare i tronchi tagliati e li si portava nei cortili delle case-laboratorio, dove si procedeva al taglio di misura (cm 46 circa) e alla scorzatura, ossia a togliere la corteccia (scorza) per poi levigare il pezzo di legno (scavess) sul tornio.

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Dal salice al pioppo.

Nell’Ottocento, il legno di salice si dimostrò insufficiente alle numerose richieste di lavorazione e allora si cercò un’altra pianta idonea. Certi pioppi, in particolare quelli originari del Canada, cresciuti in riva al Po si dimostrarono particolarmente adatti: tronco liscio e senza nodosità fino ad una certa altezza; dimensione notevole rispetto ai rami di salice (anche se occorrevano dieci anni dalla piantumazione); quantità enormi in riva al fiume Po, quindi vicine ai luoghi di produzione dei trucioli, e anche nelle campagne dei dintorni, dove c’erano numerosi pioppeti.

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Un po’ di storia…

A Villarotta, la produzione di trucioli – chiamati paioli – continuò ininterrottamente nei secoli, rifornendo Carpi di trecce che appositi laboratori trasformavano in cappelli dalle varie fogge da immettere sul mercato nazionale e anche estero.
Gli artigiani villarottesi impararono anch’essi a produrre ben presto cappelli originali e a cercare mercati per proprio conto. Tra questi imprenditori, si affermò Pietro Terzi (1849-1942) che seppe affrontare con rinnovato slancio l’attività del truciolo. Egli intese rilanciare quanto già avevano avviato in Villarotta prima di lui i Chierici e sulla loro scia il canonico Platestainer, recuperando quella tradizione locale che vedeva le ultime donne (e le anziane delle campagne, soprattutto) in grado di lavorare le paglie (cioè i trucioli) senza aspettarsi grandi ricompense.
Terzi divenne nuovo pioniere dell’industria del truciolo e del cappello, riuscendo ad esportare i suoi prodotti dovunque. Aprì in loco una fabbrica di ampie dimensioni, dove trovarono lavoro un centinaio di persone. L’attività si espanse nella vicina Luzzara, a Reggiolo, a Suzzara, a Guastalla e in paesi vicini, dove i partitanti – distributori - consegnavano a domicilio i mazzi di trucioli per farne trecce, che poi ritiravano per il laboratorio del Terzi e di altri artigiani locali.


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Inventori e imprenditori.

Tra Ottocento e Novecento, l’attività artigianale di produzione del truciolo divenne fondamentale per Villarotta. Si sviluppò intorno ai pionieri Angeli Candido e Francesco Bacchi di Luzzara, i Chierici, Antonio e figlio Francesco di Villarotta. Il primo riuscì perfino ad esportare in America i suoi cappelli di ‘legno’ e a ottenere un premio a Filadelfia come miglior esportatore nel 1876.
Altri inventori, nel frattempo, avevano perfezionato le tecniche della lavorazione: Giovanni Bellodi, di Mirandola (Modena, 1817), studiò il modo di applicare l’invenzione della macchina a vapore ai macchinari che fino a quel tempo erano manovrati a mano o a pedale. L’innesto di questa nuova tecnologia consentì la velocizzazione dei passaggi, dal tornio alle rifilatrici, che produsse un aumento considerevole dei trucioli e un alleggerimento della fatica umana. Altro inventore fu Boschi, luzzarese, che convinse una parente di Ciro Menotti, Adelaide, a introdurre nella sua fabbrica di Carpi l’innovazione apportata al macchinario di rifilatura dei trucioli (1835).
Negli stessi anni di primo Ottocento (1802-1830), il parmigiano e sacerdote, don Carlo Platestainer, venuto a Luzzara, mise a punto un telaio con il quale si potevano intessere le trecce n forme diverse dal solito: più trecce venivano unite e cucite insieme per dar fogge e conformazioni molto più elaborate e impreziosite ai cappelli, specie quelli che avrebbero portato le signore.

Prima Dopo
Prima Dopo

Sposta il cursore a sinistra e a destra, per vedere come era prima e dopo.


Le innovazioni furono acquisite anche a Villarotta, che divenne un centro di elaborazione notevole, in collaborazione con Carpi, dove si era formato un mercato che distribuiva ovunque i cappelli e le trecce prodotti specialmente a Villarotta.


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I laboratori artigiani in Villarotta.


L’occupazione di donne e uomini nelle fabbriche locali alleviò lo stato endemico di miseria della popolazione agricola. Lavorare il truciolo e di conseguenza la treccia per formare i cappelli divenne l’aspetto più significativo di chi aveva da secoli dato vita a Villarotta a questa attività, tanto da far scrivere che era la Villa dei Cappelli. In molte case si aprirono laboratori artigianali, in cui vennero collocati i macchinari più moderni per una lavorazione adeguata alle nuove esigenze di mercato. Nel 2° Dopoguerra, in particolare, i laboratori a dimensione famigliare di Villarotta divennero oltre una trentina, in grado di produrre milioni di ‘paglie’ (i trucioli) al giorno, distribuiti alle donne del paese e dei centri limitrofi per ricavarne trecce.


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Caratteristiche e particolari della lavorazione dei cappelli.


Le trecce, di m. 65 ciascuna, venivano formate da un mazzo di circa 700 trucioli, intrecciato in un’ora e mezza. Da ogni treccia, l’azienda di produzione dei cappelli ne ricavava almeno 4 o 5 copricapi, realizzati in serie. Si doveva anche tener conto di particolari esigenze della gente: i cappelli allora iniziarono a prendere diverse forme e fogge più elaborate. Il mercato negli anni ‘50-60 del secolo scorso accoglieva un numero spropositato di cappelli: per chi andava nei campi, per chi andava la domenica allo stadio, e per chi voleva sfoggiare un nuovo copricapo nei momenti festivi. Il cappello di paglia realizzato a Villarotta costava pochissimo: una manciata di lire alle donne trecciaiole, e una discreta capacità di profitto per i produttori consentiva di comprare un cappello a £ 50 massimo £ 100.
Per mezzo secolo(1950-2000) si videro in Villarotta artigiani indaffarati a distribuire i mazzi di paioli, tramite i partitanti – uomini che in auto portavano i trucioli nelle campagne e dopo qualche tempo ripassavano per ritirare le trecce finite – e avviare la loro produzione giornaliera e settimanale. Spesso si lavorava anche alla domenica, per far fronte alla continua richiesta di cappelli. Le poche lire guadagnate dalle donne nella lavorazione della treccia permettevano di comprare qualche prodotto alimentare per la famiglia.


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Chi siamo

Siamo un Associazione no profit che opera da oltre 25 anni nella frazione Villarotta di Luzzara, con finalità culturali e di promozione artistica
(Mostre di pittura, scultura, fotografia, architettura).
Il Presidente Cesare Bulgarelli, la Vice Presidente Bruna Baccuini,
Tesoriere Gianpaolo Schirolli e Vice Tesoriere Giorgio Secchi.

Cosa facciamo

Oltre alla promozione di attività locali per l’arte, la fotografia e la cultura in genere, l’Associazione si occupa principalmente di salvaguardare le tradizioni locali, con ricerche storiche che mettono in luce usi e costumi delle nostre popolazioni rivierasche del Po.
L’Associazione ha iniziato da 8 anni a proporre una Università del Tempo Libero, in cui si svolgono incontri culturali.

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